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TEATRO SAN CARLO - Romeo e Giulietta di Prokof'ev, coreografia di MacMillan, in scena dal 22 al 28 maggio
20.05.2022 13:42 di Redazione

Torna in scena al Teatro di San Carlo dal 22 al 28 maggio Romeo e Giulietta di Sergej Prokof’ev nella celebre coreografia di Kenneth MacMillan. Romeo e Giulietta è il terzo titolo di Danza in cartellone per la Stagione 2021-2022 che vedrà protagonista il Balletto del Teatro di San Carlo diretto da Clotilde Vayer. Il capolavoro di Sergej Prokof’ev (autore anche del libretto con Sergej Radlov e Adrian Pëtrovskij) dall’omonima tragedia di William Shakespeare, sarà diretto da Vello Pähn, sul podio dell’Orchestra del Massimo napoletano. La produzione è del Birmingham Royal Ballet con scene e costumi di Paul Andrews. Nei ruoli dei due sfortunati amanti di Verona si alternano Luisa Ieluzzi e Alessandro Staiano (22 maggio ore 19 e 26 maggio ore 18) Anna Chiara Amirante e Stanislao Capissi (24 maggio ore 20 e 27 maggio ore 20), Claudia D’Antonio e Danilo Notaro (25 maggio ore 18 e 28 maggio ore 19). Kenneth MacMillan, tra i massimi maestri della scena britannica del secondo ’900, ha rivoluzionato la danza classica potenziando quel linguaggio espressivo con le risorse del teatro contemporaneo. La sua versione di Romeo e Giulietta, realizzata nel 1965 a Londra per Rudol’f Nureev e Margot Fonteyn che nello stesso anno la eseguirono anche al San Carlo, è diventata da allora un classico mondiale.  A riprendere la coreografia di MacMillan al Teatro di San Carlo è Julie Lincoln insieme a Robert Twesley.

 


Dal programma di sala di Romeo e Giulietta di Roberta Albano

 

 

Ballando Shakespeare: Romeo e Giulietta dalla Napoli del 1799 alla coreografia di MacMillan


La genesi Romeo e Giulietta, il balletto più celebrato del Novecento, torna ancora una volta al Teatro di San Carlo, e non potrebbe essere altrimenti in quanto proprio nei Teatri Reali di Napoli vide la luce una delle prime traduzioni coreografiche del capolavoro di Shakespeare. Nel 1799, infatti, andò in scena il ballo pantomimo “tragico-urbano” di Gaspare Ronzi che proponeva una sostanziale rilettura drammaturgica della storia dei due giovani amanti che riuscivano a coronare il loro sogno grazie ad un finto veleno proposto per la soluzione della vicenda. Le poche realizzazioni che avevano preceduto la versione partenopea erano andate in scena nelle zone geograficamente vicine a Verona. Si tratta del ballo di Filippo Beretti nel 1784 a Padova, ripreso poi anche nel 1792 al Teatro Filarmonico di Verona. Nel 1785, al San Samuele di Venezia, anche Eusebio Luzzi. aveva realizzato un ballo sui due amanti infelici. All’inizio dell’Ottocento, a Napoli, durante la stagione napoleonica, sotto la guida di Domenico Barbaja, fioriva una nuova vita del balletto grazie all’arrivo nei Teatri Reali delle giovani stelle di formazione francese. Louis Henry, Pietro Hus, Salvatore Taglioni, e successivamente Louis Duport, determinarono la fondazione della scuola di ballo nel 1812 e il conseguente ampliamento della compagnia di danza. Louis Henry, ideatore e primo direttore di quella scuola, mise in scena nel 1814 il suo Romeo e Giulietta per il Teatro del Fondo, oggi Teatro Mercadante. Si trattò del terzo titolo shakespeariano affrontato dal coreografo francese dopo l’Otello del 1808, che aveva preceduto l’opera rossiniana, e l’Amleto del 1813. Il ballo, con alcune modifiche presentate nella prefazione dallo stesso autore, mostra di essere un fondamentale tassello del passaggio, attraverso la rilettura del tragico in chiave romantica, del linguaggio coreografico che evolve dal ballo pantomimo di fine Settecento al balletto dal gusto fantastico della prima metà dell’Ottocento. Il successo sulle scene parigine de La Sylphide (1832) di Filippo Taglioni e di Giselle (1841) di Giovanni Coralli e Jules Perrot, secondo la più aggiornata storiografia, mostra di aver avuto anche importanti prodromi napoletani. Romeo e Giulietta di Kenneth MacMillan, sulla partitura di Sergej Prokof’ev, programmato in questa stagione al San Carlo nella produzione del Birmingham Royal Ballet, ha debuttato il 9 febbraio del 1965 alla Royal Opera House - Covent Garden. In scena i protagonisti furono Margot Fonteyn e Rudol’f Nureev e la serata registrò un successo clamoroso con circa quarantatré chiamate al sipario da parte di un pubblico entusiasta e commosso. È l’inizio folgorante di una creazione che ha segnato la storia del balletto del Novecento ma che cela un dietro le quinte meno glamour di quanto possa sembrare. Il dramma di Shakespeare era arrivato a Londra, nella originale versione coreografica di Leonid Lavrovskij del 1940, in occasione della prima tournée della compagnia di ballo del Bol’šoj in Europa nel 1956, in piena Guerra Fredda. La genesi dell’opera era stata irta di difficoltà in quanto Prokof’ev aveva iniziato nel 1934 a lavorare alla partitura per il Teatro Kirov di Leningrado ma la commissione venne ritirata e passò nell’anno successivo al Bol’šoj. La musica modernista e lirica, pur apprezzata in tre suites in cui fu ridotta per sala da concerto, veniva considerata “poco danzabile” dai ballerini e coreografi per cui anche la compagnia di Mosca rinunciò all’allestimento del balletto che vide la luce finalmente nel 1938, a Brno in Cecoslovacchia, con coreografia e interpretazione del ruolo protagonista di Vanja Psota e Zora Šemberová come Giulietta. Ma fu la versione di Leonid Lavrovskij per il Kirov del 1940, che lavorò con Prokof’ev e Radlov alla ridefinizione del libretto, che si affermò come punto di riferimento per le successive numerose riproposizioni e che fu portato poi in tournée dalla compagnia moscovita a Londra. 

 


La nascita della versione di MacMillan. Il balletto aveva prodotto un grande effetto nel pubblico, nella critica e negli artisti londinesi per lo stile realistico dell’allestimento, la drammaticità dell’interpretazione di Galina Ulanova, per la sostanziale fedeltà drammaturgica all’originale letterario, per l’ottima qualità della compagnia sovietica. Dopo le folgoranti stagioni dei Ballets Russes nei primi due decenni del secolo, la danza russa si era richiusa in se stessa ed era pressoché sconosciuta. La compagnia del Bol’šoj risuonò come una rivelazione, solo gli allestimenti scenografici e i costumi vennero considerati obsoleti. La direzione del Covent Garden, sull’onda di quel successo, voleva acquisire i diritti per riprodurre la versione di Lavrovskij per la compagnia di balletto nel 1964, in occasione delle celebrazioni del quarto centenario della nascita di William Shakespeare. Ma problemi diplomatici impedirono al Lavrovskij di rimontare il balletto all’estero. L’allora coreografo principale della compagnia, Frederick Ashton, aveva realizzato nel 1955 una sua breve versione “da camera” della storia degli infelici amanti, per il Royal Danish Ballet, ma non voleva creare un balletto a serata intera per la compagnia londinese. L’incarico fu quindi affidato a Kenneth MacMillan, trentaseienne coreografo scozzese in ascesa, che aveva assistito alla versione originale di Prokof’ev-Lavrovskij. Pur avendo come riferimento la creazione russa, MacMillan aspirava ad una visione coreografica meno stilizzata e più moderna. Nell’affrontare Romeo e Giulietta si rivolse anche alla coraggiosa versione teatrale realizzata da Franco Zeffirelli per l’Old Vic Theatre nel 1959 che aveva avuto un grande riscontro per la resa realistica e cruda della vicenda degli amanti di Verona3 . In quella occasione il regista italiano aveva sfidato una convenzione consolidata del teatro inglese affidando la parte dei protagonisti non ad attempati, ma noti attori shakespeariani, bensì a due giovani debuttanti: Judi Dench e John Stride. MacMillan aveva assistito anche alla versione coreografica che John Cranko, amico e collega sudafricano, aveva realizzato nel 1958 per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, con una ventunenne Carla Fracci, al Teatro Verde dell’Isola di San Giorgio a Venezia. Il giovane coreografo scozzese decise di elaborare la sua partitura coreografica ispirandosi alla coppia di danzatori emergenti del Royal Ballet: Lynn Seymour e Christopher Gable. Per loro aveva già creato la “scena dal balcone” per una registrazione mandata in onda alla televisione canadese, esprimendo già il suo ideale di balletto giovane, realistico e moderno. Insieme iniziarono a ragionare sul progetto coreografico e sul come rendere credibili i protagonisti del dramma, il periodo di prova fu intenso e ricco di aspettative con il coreografo e i due ballerini coinvolti nel progetto. Ma a pochi giorni dal debutto, David Webster, direttore del Covent Garden, pretese che la coppia dei protagonisti alla prima fosse quella composta da Fonteyn e Nureev che invece erano stati previsti nelle serate successive. Margot Fonteyn non avrebbe voluto debuttare subito nel ruolo di Giulietta ma solo quando il balletto fosse stato ben rodato. Ma Sol Hurok, l’impresario del Royal Ballet per il tour americano, che sarebbe iniziato nell’imminente mese di aprile, voleva animare la promozione grazie al debutto londinese della coppia Fonteyn-Nureev nella nuova produzione. La direzione del teatro dovette quindi cedere ad esigenze di botteghino e di marketing dello spettacolo anche oltre oceano. La prima, come accennato all’inizio, e come la storia ci racconta, fu un successo eclatante registrato dalla stampa inglese come la consacrazione del coreografo. I due protagonisti furono apprezzati dalla critica: Fonteyn «per la grazia e la gentilezza, il fulgore e l’amore ingenuo espresso dalla sua danza» (Edward Mason nel “Sunday Telegraph”); «la sua inimitabile fusione di eleganza e naivety» (Alexander Bland nell’“Observer”). Di Rudol’f Nureev, che si era infortunato nella prova generale, si sottolineò l’intensità romantica della sua interpretazione. Quando andò finalmente in scena la coppia con il cui contributo il balletto era stato creato, Oleg Kerensky, critico di danza del “Mail” scrisse: «Non capita spesso che il secondo cast di un balletto riesca a dare nuova profondità e significato rispetto al primo, soprattutto quando il primo era composto da Margot Fonteyn e Rudol’f Nureev». Il tour americano che ebbe come titolo principale della programmazione il Romeo e Giulietta di MacMillan, sancì anche oltreoceano la riuscita e perfetta simbiosi della coppia Fonteyn-Nureev, decretò l’ascesa del Royal Ballet a compagnia di fama mondiale e l’indiscussa qualità artistica del coreografo.
Idee per un’analisi coreologica. Indugiare sulla storia della creazione del Romeo e Giulietta di MacMillan è sembrato necessario per confermare quanto la validità della sua coreografia vada ben oltre la bravura, il fascino e l’intensità degli interpreti, così come l’opera di Shakespeare, la forza lirica dei suoi versi, abbia attraversato i secoli, e le innumerevoli realizzazioni attoriali e registiche, mantenendo immutato lo straordinario valore artistico. Il lavoro di MacMillan presenta una scrittura coreografica che, benché non sia la sola realizzata in un ristretto numero di anni, rimane tra le più riprodotte dalle compagnie di balletto in tutto il mondo. La dinamicità dei passaggi creati da MacMillan nei celebri passi a due, che accompagnano l’evoluzione dell’amore tra i due protagonisti, ne sono un fulgido esempio ma non ne costituiscono l’unico elemento caratterizzante. Anche i passi a due delle altre versioni sono intensi e costituiscono il climax del processo coreutico. Il balletto di Lavrovskij, tra l’altro, mostrava per la prima volta in occidente il particolare acrobatismo delle prese e delle figurazioni raggiunte grazie alla sperimentazione coreografica sovietica degli anni Venti di coreografi come Kas’jan Golejzovskij e Fëdor Lopuchov. L’essenzialità della coreografia di Cranko mostra un approccio particolarmente teatrale dove spesso le pause sono comunicative ed efficaci quanto i movimenti e i gesti. MacMillan realizza dei passi a due dinamici in cui il linguaggio accademico, senza perdere nulla del suo rigore e della sua purezza, si fonde alla perfezione con la velocità, i cambi di intensità gestuale, “le sospensioni” (momenti di disequilibrio e di cambiamento tra una posizione e l’altra) della danza contemporanea. Ma anche sulle danze d’insieme e di carattere che animano la piazza veronese, MacMillan opera una scelta personale che va evidenziata. Il rapporto tra le scene di gruppo e la tragica vicenda dei due protagonisti è essenziale nelle varie versioni in forma di balletto ad iniziare da quella russa. Per Lavrovskij il conflitto tra Capuleti e Montecchi è l’emblema dell’assurdità della guerra che porta le due famiglie a riconciliarsi nel finale, alla presenza dei due giovani ormai morti. C’è l’esigenza della propaganda sovietica di esprimere, attraverso il genere del dramballet, una rigida ideologia di progresso portata dalla rivoluzione. La famosa Danza dei Cavalieri, brano dalla grande potenza sonora che contrappone i timbri tremendi dei fiati, le parti maschili, agli acuti degli archi, le parti femminili, esprime una inflessibile definizione dei ruoli di genere che rispecchia l’insensibilità dei Capuleti ai desideri di Giulietta. Per Cranko e MacMillan, coreografi immersi nel dinamismo sociale e artistico del Dopoguerra inglese, ricco di contraddizioni ma anche di spunti che rivoluzioneranno negli anni Sessanta costumi e modelli culturali saldamente consolidati, il sacrificio dei due giovani innamorati è senza riscatto. La scena finale, in entrambi i casi, finisce con la morte degli amanti. Qui emerge la modernità dei due autori, ma mentre Cranko sottolinea prevalentemente la tragedia dei protagonisti e il conflitto generazionale tra i due giovani, scevri degli antichi pregiudizi sostenuti invece dai genitori, MacMillan evolve tale tematica inserendola anche in un contesto sociale che guarda alla sua contemporaneità. L’analisi della coreografia realizzata da Lynsey McCulloch, infatti, evidenzia l’importanza delle tre “donne di strada” presenti nelle coreografie di Cranko e MacMillan. Ma mentre il primo introduce con fini strumentali questi personaggi, assenti nel testo di Shakespeare, per animare le scene d’insieme e valorizzare altri ruoli femminili per la compagnia di balletto, MacMillan utilizza queste figure con un chiaro intento drammaturgico. Le tre ragazze sono individuate come “diverse”, sono prostitute che interagiscono con Romeo, Mercuzio e Benvolio che le trattano con simpatia mentre il resto del popolo le disprezza e Tebaldo le tratta addirittura con violenza. MacMillan, attraverso questo espediente, crea un netto contrasto tra i Capuleti, rappresentati come aristocratici rigidi, ottusi e pretenziosi, e la cerchia dei Montecchi che vengono resi più democratici e inclusivi e per cui il coreografo mostra di avere una netta preferenza. Nell’originale shakespeariano c’è un’equidistanza tra le due famiglie. Questo espediente, che può sembrare di secondaria importanza, aiuta MacMillan a rendere la sua lettura di Romeo e Giulietta maggiormente autonoma dal teso letterario e legata alle tematiche emerse dalle rivolte giovanili degli anni Sessanta: non si tratta solo della contrapposizione tra giovani e anziani ma anche dell’emergere di nuovi valori legati alla lotta tra le diverse classi sociali, alla solidarietà verso i più umili e ad una nuova visione della donna e della sua sessualità. Ecco imporsi, per contrasto, la figura di Giulietta, così come quelle delle altre numerose donne del repertorio di MacMillan: la sensuale protagonista di Manon (1974), la disagiata e inquietante di Anastasia (1967-1971), l’innocente di The invitation (1960), le disturbate sorelle Brontë di My Brother, My Sisters (1978), solo per citarne alcune. MacMillan, artista sensibile e affetto da una seria tendenza alla depressione, è celebrato come l’autore maggiormente disposto ad affrontare tematiche moderne, crude e violente, fino ad allora raramente inserite in un balletto dallo stile classico e dal linguaggio accademico. La Giulietta di MacMillan, così come prevede la scrittura del personaggio shakespeariano, evolve dall’innocenza dell’adolescenza alla maturità grazie ad un amore intenso e assoluto che le rivela il bene e il male della passione e della vita adulta. È una giovane donna che si inserisce a pieno titolo in una sensibilità contemporanea dove, benché la scena rinascimentale mantenga la sua connotazione, si allude anche a ciò che avviene tra le strade di Londra in quegli anni, eventi che non lasciano indifferente il coreografo scozzese. Il primo duetto danzato da Giulietta con Paride, durante la festa del fidanzamento ufficiale, ci presenta un corpo teso, intimidito, non particolarmente disposto al contatto, frutto di una relazione imposta dalle regole familiari e si conclude con il rifiuto del baciamano. Quando invece Giulietta, con un semplice incrocio di sguardi, incontra e sceglie per sempre Romeo, il suo primo approccio è emozionato ma spontaneo. La bravura dei danzatori, obbligati in un linguaggio tecnico molto definito e compresso da regole, come quello classico, è nella sfida di riuscire a trasmettere una verità assoluta: per quanto si tenti di mascherare e mistificare le emozioni, il linguaggio del corpo non mente. Il primo passo a due tra Romeo e Giulietta durante la festa è già ricco di felicità, desiderio, abbandono. Il drammatico incontro tra Tebaldo e Romeo, che interrompe questo primo approccio, prefigura l’infelicità di un sentimento esploso senza controllo. Un amore che predispone il giovane Montecchi ad una immediata riconciliazione, altezzosamente rifiutata dal geloso Capuleti. La famosissima scena dal balcone, e il passo a due della camera da letto, spesso rappresentati come brani autonomi, sono ampiamente celebrati da tutti i coreografi nelle varie trasposizioni e si avvalgono dell’emozionante musica di Prokof’ev, così coinvolgente, toccante, che non si riesce proprio a comprendere come possa essere stata definita “non danzabile”. La scena finale del balletto di MacMillan segna un altro momento di originalità assoluta che, da sola, pone la sua versione al di sopra delle altre. La drammaticità della scoperta della morte di Giulietta da parte di Romeo veniva risolta da Lavrovskij con una disperata ostentazione del corpo rigido di Giulietta, acrobaticamente sostenuto dal ballerino prima di essere ricomposto sul letto di morte. Per Cranko era un disperato tentativo di risvegliare Giulietta abbracciandola e conducendola al centro della scena per riscontrare l’evidenza della morte con il corpo che scivola tragicamente a terra. Per MacMillan è l’occasione di un ennesimo passo a due, fino ad allora inedito, stupefacente, in cui Romeo, nel disperato tentativo di rivivere con Giulietta la sua passione, prova a riprodurre passaggi salienti tratti dai duetti precedenti, fluidi, erotici e tragicamente impossibili in quanto il corpo dell’amata non risponde alle sue sollecitazioni. La ballerina qui si deve esibire nella difficile capacità di abbandonare la testa, gli arti, come se fosse veramente senza vita. Il realismo espressivo scelto da MacMillan contrappone in maniera struggente il desiderio di Romeo e il corpo inanimato di Giulietta. Questo ultimo passo a due, emozionante e lacerante è senz’altro diventato un topos, che sarà spesso riprodotto anche nelle versioni successive di altri autori, ma che contribuisce a rendere quella di MacMillan una pietra miliare del balletto narrativo del Novecento.

 

 

Dal 22 al 28 maggio 2022
Sergei Prokof’ev
ROMEO E GIULIETTA
Balletto in tre atti tratto dall'omonima tragedia di William Shakespeare scritto fra il 1935 e il 1936.

 


 
Direttore | Vello Pähn?
Coreografia | Kenneth MacMillan (ripresa da Julie Lincoln e Robert Tewsley)
Scene e Costumi | Paul Andrews
Luci | John B Read
Maître de Ballet | Robert Tewsley e Soimita Lupu
Maestro d’Armi | Renzo Musumeci Greco
Assistente ai Costumi | Anna Verde
?debutto al Teatro di San Carlo


 
Giulietta, Luisa Ieluzzi (22, 26) / Anna Chiara Amirante (24, 27) / Claudia D'Antonio (25, 28)
Romeo, Alessandro Staiano (22, 26) / Stanislao Capissi (24, 27) / Danilo Notaro (25, 28)
Tebaldo, Ertrugel Gjoni (22, 25, 26, 28) / Raffaele Vasto (24, 27)
Mercuzio, Carlo De Martino (22, 25, 26, 28) / Salvatore Manzo (24, 27)
Benvolio, Ferdinando De Riso (22, 25, 26, 28) / Giuseppe Aquila (24, 27)
Lady Capuleti, Annalina Nuzzo (22, 25, 26, 28) / Adriana Pappalardo (24, 27)
Lord Capuleti, Giuseppe Ciccarelli (22, 25, 26, 28) / Gianluca Nunziata (24, 27)
Lady Montecchi, Fabiana Isoletta
Lord Montecchi, Massimo Sorrentino
Nutrice, Ottavia Cocozza di Montanara
Frate Lorenzo, Marco Spizzica
Paride, Daniele Di Donato (22, 25, 26, 28) / Pietro Valente (24, 27)
Danza Mandolini, Salvatore Manzo (22, 25, 28) / Carlo De Martino (24) / Danilo Notaro (26, 27)


 
Orchestra e Balletto del Teatro di San Carlo
Direttore del Balletto | Clotilde Vayer
 

 


Produzione Birmingham Royal Ballet


Teatro di San Carlo 


domenica 22 maggio 2022, ore 19:00 
martedì 24 maggio 2022, ore 20:00 
mercoledì 25 maggio 2022, ore 18:00 
giovedì 26 maggio 2022, ore 18:00 
venerdì 27 maggio 2022, ore 20:00 
sabato 28 maggio 2022, ore 19:00 

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TEATRO SAN CARLO - Romeo e Giulietta di Prokof'ev, coreografia di MacMillan, in scena dal 22 al 28 maggio

di Napoli Magazine

20/05/2024 - 13:42

Torna in scena al Teatro di San Carlo dal 22 al 28 maggio Romeo e Giulietta di Sergej Prokof’ev nella celebre coreografia di Kenneth MacMillan. Romeo e Giulietta è il terzo titolo di Danza in cartellone per la Stagione 2021-2022 che vedrà protagonista il Balletto del Teatro di San Carlo diretto da Clotilde Vayer. Il capolavoro di Sergej Prokof’ev (autore anche del libretto con Sergej Radlov e Adrian Pëtrovskij) dall’omonima tragedia di William Shakespeare, sarà diretto da Vello Pähn, sul podio dell’Orchestra del Massimo napoletano. La produzione è del Birmingham Royal Ballet con scene e costumi di Paul Andrews. Nei ruoli dei due sfortunati amanti di Verona si alternano Luisa Ieluzzi e Alessandro Staiano (22 maggio ore 19 e 26 maggio ore 18) Anna Chiara Amirante e Stanislao Capissi (24 maggio ore 20 e 27 maggio ore 20), Claudia D’Antonio e Danilo Notaro (25 maggio ore 18 e 28 maggio ore 19). Kenneth MacMillan, tra i massimi maestri della scena britannica del secondo ’900, ha rivoluzionato la danza classica potenziando quel linguaggio espressivo con le risorse del teatro contemporaneo. La sua versione di Romeo e Giulietta, realizzata nel 1965 a Londra per Rudol’f Nureev e Margot Fonteyn che nello stesso anno la eseguirono anche al San Carlo, è diventata da allora un classico mondiale.  A riprendere la coreografia di MacMillan al Teatro di San Carlo è Julie Lincoln insieme a Robert Twesley.

 


Dal programma di sala di Romeo e Giulietta di Roberta Albano

 

 

Ballando Shakespeare: Romeo e Giulietta dalla Napoli del 1799 alla coreografia di MacMillan


La genesi Romeo e Giulietta, il balletto più celebrato del Novecento, torna ancora una volta al Teatro di San Carlo, e non potrebbe essere altrimenti in quanto proprio nei Teatri Reali di Napoli vide la luce una delle prime traduzioni coreografiche del capolavoro di Shakespeare. Nel 1799, infatti, andò in scena il ballo pantomimo “tragico-urbano” di Gaspare Ronzi che proponeva una sostanziale rilettura drammaturgica della storia dei due giovani amanti che riuscivano a coronare il loro sogno grazie ad un finto veleno proposto per la soluzione della vicenda. Le poche realizzazioni che avevano preceduto la versione partenopea erano andate in scena nelle zone geograficamente vicine a Verona. Si tratta del ballo di Filippo Beretti nel 1784 a Padova, ripreso poi anche nel 1792 al Teatro Filarmonico di Verona. Nel 1785, al San Samuele di Venezia, anche Eusebio Luzzi. aveva realizzato un ballo sui due amanti infelici. All’inizio dell’Ottocento, a Napoli, durante la stagione napoleonica, sotto la guida di Domenico Barbaja, fioriva una nuova vita del balletto grazie all’arrivo nei Teatri Reali delle giovani stelle di formazione francese. Louis Henry, Pietro Hus, Salvatore Taglioni, e successivamente Louis Duport, determinarono la fondazione della scuola di ballo nel 1812 e il conseguente ampliamento della compagnia di danza. Louis Henry, ideatore e primo direttore di quella scuola, mise in scena nel 1814 il suo Romeo e Giulietta per il Teatro del Fondo, oggi Teatro Mercadante. Si trattò del terzo titolo shakespeariano affrontato dal coreografo francese dopo l’Otello del 1808, che aveva preceduto l’opera rossiniana, e l’Amleto del 1813. Il ballo, con alcune modifiche presentate nella prefazione dallo stesso autore, mostra di essere un fondamentale tassello del passaggio, attraverso la rilettura del tragico in chiave romantica, del linguaggio coreografico che evolve dal ballo pantomimo di fine Settecento al balletto dal gusto fantastico della prima metà dell’Ottocento. Il successo sulle scene parigine de La Sylphide (1832) di Filippo Taglioni e di Giselle (1841) di Giovanni Coralli e Jules Perrot, secondo la più aggiornata storiografia, mostra di aver avuto anche importanti prodromi napoletani. Romeo e Giulietta di Kenneth MacMillan, sulla partitura di Sergej Prokof’ev, programmato in questa stagione al San Carlo nella produzione del Birmingham Royal Ballet, ha debuttato il 9 febbraio del 1965 alla Royal Opera House - Covent Garden. In scena i protagonisti furono Margot Fonteyn e Rudol’f Nureev e la serata registrò un successo clamoroso con circa quarantatré chiamate al sipario da parte di un pubblico entusiasta e commosso. È l’inizio folgorante di una creazione che ha segnato la storia del balletto del Novecento ma che cela un dietro le quinte meno glamour di quanto possa sembrare. Il dramma di Shakespeare era arrivato a Londra, nella originale versione coreografica di Leonid Lavrovskij del 1940, in occasione della prima tournée della compagnia di ballo del Bol’šoj in Europa nel 1956, in piena Guerra Fredda. La genesi dell’opera era stata irta di difficoltà in quanto Prokof’ev aveva iniziato nel 1934 a lavorare alla partitura per il Teatro Kirov di Leningrado ma la commissione venne ritirata e passò nell’anno successivo al Bol’šoj. La musica modernista e lirica, pur apprezzata in tre suites in cui fu ridotta per sala da concerto, veniva considerata “poco danzabile” dai ballerini e coreografi per cui anche la compagnia di Mosca rinunciò all’allestimento del balletto che vide la luce finalmente nel 1938, a Brno in Cecoslovacchia, con coreografia e interpretazione del ruolo protagonista di Vanja Psota e Zora Šemberová come Giulietta. Ma fu la versione di Leonid Lavrovskij per il Kirov del 1940, che lavorò con Prokof’ev e Radlov alla ridefinizione del libretto, che si affermò come punto di riferimento per le successive numerose riproposizioni e che fu portato poi in tournée dalla compagnia moscovita a Londra. 

 


La nascita della versione di MacMillan. Il balletto aveva prodotto un grande effetto nel pubblico, nella critica e negli artisti londinesi per lo stile realistico dell’allestimento, la drammaticità dell’interpretazione di Galina Ulanova, per la sostanziale fedeltà drammaturgica all’originale letterario, per l’ottima qualità della compagnia sovietica. Dopo le folgoranti stagioni dei Ballets Russes nei primi due decenni del secolo, la danza russa si era richiusa in se stessa ed era pressoché sconosciuta. La compagnia del Bol’šoj risuonò come una rivelazione, solo gli allestimenti scenografici e i costumi vennero considerati obsoleti. La direzione del Covent Garden, sull’onda di quel successo, voleva acquisire i diritti per riprodurre la versione di Lavrovskij per la compagnia di balletto nel 1964, in occasione delle celebrazioni del quarto centenario della nascita di William Shakespeare. Ma problemi diplomatici impedirono al Lavrovskij di rimontare il balletto all’estero. L’allora coreografo principale della compagnia, Frederick Ashton, aveva realizzato nel 1955 una sua breve versione “da camera” della storia degli infelici amanti, per il Royal Danish Ballet, ma non voleva creare un balletto a serata intera per la compagnia londinese. L’incarico fu quindi affidato a Kenneth MacMillan, trentaseienne coreografo scozzese in ascesa, che aveva assistito alla versione originale di Prokof’ev-Lavrovskij. Pur avendo come riferimento la creazione russa, MacMillan aspirava ad una visione coreografica meno stilizzata e più moderna. Nell’affrontare Romeo e Giulietta si rivolse anche alla coraggiosa versione teatrale realizzata da Franco Zeffirelli per l’Old Vic Theatre nel 1959 che aveva avuto un grande riscontro per la resa realistica e cruda della vicenda degli amanti di Verona3 . In quella occasione il regista italiano aveva sfidato una convenzione consolidata del teatro inglese affidando la parte dei protagonisti non ad attempati, ma noti attori shakespeariani, bensì a due giovani debuttanti: Judi Dench e John Stride. MacMillan aveva assistito anche alla versione coreografica che John Cranko, amico e collega sudafricano, aveva realizzato nel 1958 per il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, con una ventunenne Carla Fracci, al Teatro Verde dell’Isola di San Giorgio a Venezia. Il giovane coreografo scozzese decise di elaborare la sua partitura coreografica ispirandosi alla coppia di danzatori emergenti del Royal Ballet: Lynn Seymour e Christopher Gable. Per loro aveva già creato la “scena dal balcone” per una registrazione mandata in onda alla televisione canadese, esprimendo già il suo ideale di balletto giovane, realistico e moderno. Insieme iniziarono a ragionare sul progetto coreografico e sul come rendere credibili i protagonisti del dramma, il periodo di prova fu intenso e ricco di aspettative con il coreografo e i due ballerini coinvolti nel progetto. Ma a pochi giorni dal debutto, David Webster, direttore del Covent Garden, pretese che la coppia dei protagonisti alla prima fosse quella composta da Fonteyn e Nureev che invece erano stati previsti nelle serate successive. Margot Fonteyn non avrebbe voluto debuttare subito nel ruolo di Giulietta ma solo quando il balletto fosse stato ben rodato. Ma Sol Hurok, l’impresario del Royal Ballet per il tour americano, che sarebbe iniziato nell’imminente mese di aprile, voleva animare la promozione grazie al debutto londinese della coppia Fonteyn-Nureev nella nuova produzione. La direzione del teatro dovette quindi cedere ad esigenze di botteghino e di marketing dello spettacolo anche oltre oceano. La prima, come accennato all’inizio, e come la storia ci racconta, fu un successo eclatante registrato dalla stampa inglese come la consacrazione del coreografo. I due protagonisti furono apprezzati dalla critica: Fonteyn «per la grazia e la gentilezza, il fulgore e l’amore ingenuo espresso dalla sua danza» (Edward Mason nel “Sunday Telegraph”); «la sua inimitabile fusione di eleganza e naivety» (Alexander Bland nell’“Observer”). Di Rudol’f Nureev, che si era infortunato nella prova generale, si sottolineò l’intensità romantica della sua interpretazione. Quando andò finalmente in scena la coppia con il cui contributo il balletto era stato creato, Oleg Kerensky, critico di danza del “Mail” scrisse: «Non capita spesso che il secondo cast di un balletto riesca a dare nuova profondità e significato rispetto al primo, soprattutto quando il primo era composto da Margot Fonteyn e Rudol’f Nureev». Il tour americano che ebbe come titolo principale della programmazione il Romeo e Giulietta di MacMillan, sancì anche oltreoceano la riuscita e perfetta simbiosi della coppia Fonteyn-Nureev, decretò l’ascesa del Royal Ballet a compagnia di fama mondiale e l’indiscussa qualità artistica del coreografo.
Idee per un’analisi coreologica. Indugiare sulla storia della creazione del Romeo e Giulietta di MacMillan è sembrato necessario per confermare quanto la validità della sua coreografia vada ben oltre la bravura, il fascino e l’intensità degli interpreti, così come l’opera di Shakespeare, la forza lirica dei suoi versi, abbia attraversato i secoli, e le innumerevoli realizzazioni attoriali e registiche, mantenendo immutato lo straordinario valore artistico. Il lavoro di MacMillan presenta una scrittura coreografica che, benché non sia la sola realizzata in un ristretto numero di anni, rimane tra le più riprodotte dalle compagnie di balletto in tutto il mondo. La dinamicità dei passaggi creati da MacMillan nei celebri passi a due, che accompagnano l’evoluzione dell’amore tra i due protagonisti, ne sono un fulgido esempio ma non ne costituiscono l’unico elemento caratterizzante. Anche i passi a due delle altre versioni sono intensi e costituiscono il climax del processo coreutico. Il balletto di Lavrovskij, tra l’altro, mostrava per la prima volta in occidente il particolare acrobatismo delle prese e delle figurazioni raggiunte grazie alla sperimentazione coreografica sovietica degli anni Venti di coreografi come Kas’jan Golejzovskij e Fëdor Lopuchov. L’essenzialità della coreografia di Cranko mostra un approccio particolarmente teatrale dove spesso le pause sono comunicative ed efficaci quanto i movimenti e i gesti. MacMillan realizza dei passi a due dinamici in cui il linguaggio accademico, senza perdere nulla del suo rigore e della sua purezza, si fonde alla perfezione con la velocità, i cambi di intensità gestuale, “le sospensioni” (momenti di disequilibrio e di cambiamento tra una posizione e l’altra) della danza contemporanea. Ma anche sulle danze d’insieme e di carattere che animano la piazza veronese, MacMillan opera una scelta personale che va evidenziata. Il rapporto tra le scene di gruppo e la tragica vicenda dei due protagonisti è essenziale nelle varie versioni in forma di balletto ad iniziare da quella russa. Per Lavrovskij il conflitto tra Capuleti e Montecchi è l’emblema dell’assurdità della guerra che porta le due famiglie a riconciliarsi nel finale, alla presenza dei due giovani ormai morti. C’è l’esigenza della propaganda sovietica di esprimere, attraverso il genere del dramballet, una rigida ideologia di progresso portata dalla rivoluzione. La famosa Danza dei Cavalieri, brano dalla grande potenza sonora che contrappone i timbri tremendi dei fiati, le parti maschili, agli acuti degli archi, le parti femminili, esprime una inflessibile definizione dei ruoli di genere che rispecchia l’insensibilità dei Capuleti ai desideri di Giulietta. Per Cranko e MacMillan, coreografi immersi nel dinamismo sociale e artistico del Dopoguerra inglese, ricco di contraddizioni ma anche di spunti che rivoluzioneranno negli anni Sessanta costumi e modelli culturali saldamente consolidati, il sacrificio dei due giovani innamorati è senza riscatto. La scena finale, in entrambi i casi, finisce con la morte degli amanti. Qui emerge la modernità dei due autori, ma mentre Cranko sottolinea prevalentemente la tragedia dei protagonisti e il conflitto generazionale tra i due giovani, scevri degli antichi pregiudizi sostenuti invece dai genitori, MacMillan evolve tale tematica inserendola anche in un contesto sociale che guarda alla sua contemporaneità. L’analisi della coreografia realizzata da Lynsey McCulloch, infatti, evidenzia l’importanza delle tre “donne di strada” presenti nelle coreografie di Cranko e MacMillan. Ma mentre il primo introduce con fini strumentali questi personaggi, assenti nel testo di Shakespeare, per animare le scene d’insieme e valorizzare altri ruoli femminili per la compagnia di balletto, MacMillan utilizza queste figure con un chiaro intento drammaturgico. Le tre ragazze sono individuate come “diverse”, sono prostitute che interagiscono con Romeo, Mercuzio e Benvolio che le trattano con simpatia mentre il resto del popolo le disprezza e Tebaldo le tratta addirittura con violenza. MacMillan, attraverso questo espediente, crea un netto contrasto tra i Capuleti, rappresentati come aristocratici rigidi, ottusi e pretenziosi, e la cerchia dei Montecchi che vengono resi più democratici e inclusivi e per cui il coreografo mostra di avere una netta preferenza. Nell’originale shakespeariano c’è un’equidistanza tra le due famiglie. Questo espediente, che può sembrare di secondaria importanza, aiuta MacMillan a rendere la sua lettura di Romeo e Giulietta maggiormente autonoma dal teso letterario e legata alle tematiche emerse dalle rivolte giovanili degli anni Sessanta: non si tratta solo della contrapposizione tra giovani e anziani ma anche dell’emergere di nuovi valori legati alla lotta tra le diverse classi sociali, alla solidarietà verso i più umili e ad una nuova visione della donna e della sua sessualità. Ecco imporsi, per contrasto, la figura di Giulietta, così come quelle delle altre numerose donne del repertorio di MacMillan: la sensuale protagonista di Manon (1974), la disagiata e inquietante di Anastasia (1967-1971), l’innocente di The invitation (1960), le disturbate sorelle Brontë di My Brother, My Sisters (1978), solo per citarne alcune. MacMillan, artista sensibile e affetto da una seria tendenza alla depressione, è celebrato come l’autore maggiormente disposto ad affrontare tematiche moderne, crude e violente, fino ad allora raramente inserite in un balletto dallo stile classico e dal linguaggio accademico. La Giulietta di MacMillan, così come prevede la scrittura del personaggio shakespeariano, evolve dall’innocenza dell’adolescenza alla maturità grazie ad un amore intenso e assoluto che le rivela il bene e il male della passione e della vita adulta. È una giovane donna che si inserisce a pieno titolo in una sensibilità contemporanea dove, benché la scena rinascimentale mantenga la sua connotazione, si allude anche a ciò che avviene tra le strade di Londra in quegli anni, eventi che non lasciano indifferente il coreografo scozzese. Il primo duetto danzato da Giulietta con Paride, durante la festa del fidanzamento ufficiale, ci presenta un corpo teso, intimidito, non particolarmente disposto al contatto, frutto di una relazione imposta dalle regole familiari e si conclude con il rifiuto del baciamano. Quando invece Giulietta, con un semplice incrocio di sguardi, incontra e sceglie per sempre Romeo, il suo primo approccio è emozionato ma spontaneo. La bravura dei danzatori, obbligati in un linguaggio tecnico molto definito e compresso da regole, come quello classico, è nella sfida di riuscire a trasmettere una verità assoluta: per quanto si tenti di mascherare e mistificare le emozioni, il linguaggio del corpo non mente. Il primo passo a due tra Romeo e Giulietta durante la festa è già ricco di felicità, desiderio, abbandono. Il drammatico incontro tra Tebaldo e Romeo, che interrompe questo primo approccio, prefigura l’infelicità di un sentimento esploso senza controllo. Un amore che predispone il giovane Montecchi ad una immediata riconciliazione, altezzosamente rifiutata dal geloso Capuleti. La famosissima scena dal balcone, e il passo a due della camera da letto, spesso rappresentati come brani autonomi, sono ampiamente celebrati da tutti i coreografi nelle varie trasposizioni e si avvalgono dell’emozionante musica di Prokof’ev, così coinvolgente, toccante, che non si riesce proprio a comprendere come possa essere stata definita “non danzabile”. La scena finale del balletto di MacMillan segna un altro momento di originalità assoluta che, da sola, pone la sua versione al di sopra delle altre. La drammaticità della scoperta della morte di Giulietta da parte di Romeo veniva risolta da Lavrovskij con una disperata ostentazione del corpo rigido di Giulietta, acrobaticamente sostenuto dal ballerino prima di essere ricomposto sul letto di morte. Per Cranko era un disperato tentativo di risvegliare Giulietta abbracciandola e conducendola al centro della scena per riscontrare l’evidenza della morte con il corpo che scivola tragicamente a terra. Per MacMillan è l’occasione di un ennesimo passo a due, fino ad allora inedito, stupefacente, in cui Romeo, nel disperato tentativo di rivivere con Giulietta la sua passione, prova a riprodurre passaggi salienti tratti dai duetti precedenti, fluidi, erotici e tragicamente impossibili in quanto il corpo dell’amata non risponde alle sue sollecitazioni. La ballerina qui si deve esibire nella difficile capacità di abbandonare la testa, gli arti, come se fosse veramente senza vita. Il realismo espressivo scelto da MacMillan contrappone in maniera struggente il desiderio di Romeo e il corpo inanimato di Giulietta. Questo ultimo passo a due, emozionante e lacerante è senz’altro diventato un topos, che sarà spesso riprodotto anche nelle versioni successive di altri autori, ma che contribuisce a rendere quella di MacMillan una pietra miliare del balletto narrativo del Novecento.

 

 

Dal 22 al 28 maggio 2022
Sergei Prokof’ev
ROMEO E GIULIETTA
Balletto in tre atti tratto dall'omonima tragedia di William Shakespeare scritto fra il 1935 e il 1936.

 


 
Direttore | Vello Pähn?
Coreografia | Kenneth MacMillan (ripresa da Julie Lincoln e Robert Tewsley)
Scene e Costumi | Paul Andrews
Luci | John B Read
Maître de Ballet | Robert Tewsley e Soimita Lupu
Maestro d’Armi | Renzo Musumeci Greco
Assistente ai Costumi | Anna Verde
?debutto al Teatro di San Carlo


 
Giulietta, Luisa Ieluzzi (22, 26) / Anna Chiara Amirante (24, 27) / Claudia D'Antonio (25, 28)
Romeo, Alessandro Staiano (22, 26) / Stanislao Capissi (24, 27) / Danilo Notaro (25, 28)
Tebaldo, Ertrugel Gjoni (22, 25, 26, 28) / Raffaele Vasto (24, 27)
Mercuzio, Carlo De Martino (22, 25, 26, 28) / Salvatore Manzo (24, 27)
Benvolio, Ferdinando De Riso (22, 25, 26, 28) / Giuseppe Aquila (24, 27)
Lady Capuleti, Annalina Nuzzo (22, 25, 26, 28) / Adriana Pappalardo (24, 27)
Lord Capuleti, Giuseppe Ciccarelli (22, 25, 26, 28) / Gianluca Nunziata (24, 27)
Lady Montecchi, Fabiana Isoletta
Lord Montecchi, Massimo Sorrentino
Nutrice, Ottavia Cocozza di Montanara
Frate Lorenzo, Marco Spizzica
Paride, Daniele Di Donato (22, 25, 26, 28) / Pietro Valente (24, 27)
Danza Mandolini, Salvatore Manzo (22, 25, 28) / Carlo De Martino (24) / Danilo Notaro (26, 27)


 
Orchestra e Balletto del Teatro di San Carlo
Direttore del Balletto | Clotilde Vayer
 

 


Produzione Birmingham Royal Ballet


Teatro di San Carlo 


domenica 22 maggio 2022, ore 19:00 
martedì 24 maggio 2022, ore 20:00 
mercoledì 25 maggio 2022, ore 18:00 
giovedì 26 maggio 2022, ore 18:00 
venerdì 27 maggio 2022, ore 20:00 
sabato 28 maggio 2022, ore 19:00